Se domandate a un bambino con quale tipo di corrente funziona il suo trenino elettrico, vi risponderà senza esitazione che funziona a corrente continua. La maggioranza delle marche infatti adotta il sistema a corrente continua perché più facile, e più efficace — essendo più aderente alla realtà — nel dare l’illusione d’un traffico ferroviario in miniatura. La rotaia di un trenino a corrente continua è identica ai binari reali; la corrente passa nella prima rotaia e ritorna nell’altra (polo positivo e polo negativo; vedi figura). Però la corrente ad uso domestico è corrente alternata di voltaggio molto superiore, più del decuplo, di quello col quale funziona il trenino. Il ragazzo pertanto si serve di un trasformatore-raddrizzatore. Questo apparecchio « trasforma » la corrente da 220 volt a 12 e da alternata la raddrizza in continua.
La prevalenza delle correnti alternate nel campo delle applicazioni industriali deriva soprattutto dalla possibilità che tali correnti offrono di eseguire la loro trasformazione da una tensione alta a una bassa e viceversa, ciò che non si può fare con la corrente continua.
Tale trasformazione si effettua tramite il trasformatore, macchina elettrica statica (ovvero priva di movimenti meccanici) semplice nella costruzione e elevata nel rendimento. In una casa la tensione di alimentazione degli apparecchi deve essere contenuta entro limiti modesti (qualche centinaio di volt) per evitare danni alle persone e anche per ragioni costruttive.
La necessità però di convogliare potenze ingentissime in conduttori di notevole lunghezza, obbliga a inserire opportuni trasformatori che abbassino tensioni dell’ordine di 200.000 volt sino ai valori dell’uso domestico. In genere abbiamo tre tensioni: quelle dei generatori che producono l’energia elettrica, la quale per essere trasportata richiede il suo «innalzamento »; le tensioni di trasporto e infine le tensioni di distribuzione.
Se dobbiamo realizzare la trasmissione di potenze dell’ordine di alcune migliaia di kilowatt su distanze che superino le centinaia di chilometri, il trasformatore è lo strumento che ci serve; dovendo collegare un ferro da stiro o una macchina da cucire elettrica a una rete superiore in tensione a quella per la quale il ferro o la macchina da cucire erano destinati, ci serviremo ancora di un trasformatore. Come funziona il trasformatore?
Su un nucleo di ferro dolce e composto da numerosi settori vengono avvolti due circuiti elettrici, primario e secondario, isolati l’uno dall’altro.
Se non si verificasse dissipazione alcuna nel flusso magnetico e non vi fossero perdite, l’energia elettrica sviluppata nell’avvolgimento secondario sarebbe pari a quella consumata nell’avvolgimento primario.
Però tali perdite ci sono e l’equivalenza non può verificarsi altro che in maniera approssimativa. Il rapporto delle tensioni si può considerare uguale a quello del numero delle spire del secondario e del primario.
Considerando come i numeri di tali spirali dei fili rispettivamente del circuito indotto e del circuito induttore si ha il seguente rapporto:
in cui la prima frazione indica il rapporto delle tensioni, la seconda il rapporto tra i due avvolgimenti detto anche rapporto di trasformazione. Quindi se il primario ha dieci volte più spire del secondario, la tensione misurata ai terminali di quest’ultimo risulterà il decimo della tensione immessa nel primario e viceversa; perché la tensione nel secondario rimanga in pratica costante è sufficiente che lo sia quella nel primario.
Le correnti in questi due avvolgimenti, perdite eccettuate, possono considerarsi in ragione inversa delle corrispondenti tensioni e del numero delle spire. Si avrà pertanto che:
Queste formule possono sembrare apparentemente incomprensibili e sarà conveniente perciò illustrarle con un esempio pratico.
Volendo per assurdo distribuire una corrente di 500 ampere con una tensione di 100 volt (ossia l’energia elettrica di 500 • 100 = = 50000 watt) — la distanza che tale corrente deve percorrere è di 2 km e la perdita lungo il percorso è del 10% cioè 5000 watt —il conduttore di rame dovrebbe avere una resistenza di 0,02 ohm.
Nel sistema Giorgi e per la legge di Ohm si ha infatti che per cui .
Avendosi un filo conduttore, tra i cui estremi vi è una differenza di potenziale, secondo la legge di Ohm abbiamo infatti: RI = V’ – V” in cui V’ — V” rappresenta la differenza di potenziale tra i due estremi.
Le forze elettriche, per passare dal punto V1 al punto V2, compiono un lavoro uguale al prodotto della differenza di potenziale V’ — V” per la quantità di elettricità (indicata con q); da essa ne viene che: W = RI2 ciò che ci fornisce la quantità di energia consumata per far passare la corrente nel filo, perdita che nell’esempio assomma al 10%; tale energia perduta si trasforma in calore (toccate una lampadina accesa per sincerarvene).
Volendo trasportare la stessa energia di cui sopra con una corrente di 50 ampere e una tensione di 1000 volt, la resistenza del filo potrà essere di 2 ohm e la sezione del conduttore di molto inferiore a quella dell’altro conduttore (precisamente 1/100 della precedente). Più alta infatti è la tensione adoperata, minore è la corrente e pertanto la perdita.
Teoricamente si potrebbe elevare a piacere la tensione, se non ci fosse però l’ostacolo rappresentato dagli isolanti i quali non possono resistere a scariche dell’ordine di più di 500000 volt.