Quella energia elettrica che troviamo nella nostra casa sotto forma di corrente alternata ci viene erogata, dopo opportune trasformazioni, da una centrale elettrica che ha il compito di produrla. Tale produzione di energia elettrica, considerato che l’energia non si crea né si distrugge, avviene attraverso una trasformazione; nel caso di una centrale termica, attraverso la trasformazione del calore (fornito per esempio dal carbone) in energia elettrica.
Una fonte molto comune di energia è rappresentata dalle pile o dagli accumulatori; una pila è composta generalmente da tre elementi: due tipi di metalli diversi e un sale, o un acido, che per mezzo di una reazione chimica separa i protoni dagli elettroni localizzando i primi sul primo tipo di materiale e i secondi sull’altro.
Tali metalli diversi si chiameranno elettrodi e avremo pertanto un elettrodo positivo e un elettrodo negativo. Nel caso di una pila si ha trasformazione di energia chimica in energia elettrica; l’accumulatore invece ha questo nome perché accumula energia elettrica, ad esso precedentemente fornita, per restituirla allorché viene collegato a un circuito elettrico.
Rimane ora da parlare del campo magnetico. Se ci procuriamo un filo di materiale conduttore avvolto a spirale, quello che cioè si chiama bobina, e applichiamo ai suoi capi un generatore di corrente alternata, avremo un continuo oscillare in un medesimo punto del polo positivo e del polo negativo.
Un pezzetto di ferro dolce sul quale la spirale sia avvolta sarà magnetizzato da questo continuo passaggio di corrente; avremo cioè quello che si dice un’elettrocalamita o un elettromagnete.
Si ha cioè il fenomeno che la corrente la quale scorre nella bobina crea una forza magnetica uguale a quella delle calamite. Tale energia magnetica si forma sotto l’aspetto di linee invisibili che hanno il senso del moto degli elettroni.
Naturalmente poiché la corrente è alternata, ai morsetti della bobina la polarità cambia continuamente.
In un punto cioè diventa positiva, nell’altro negativa e nell’istante successivo avverrà esattamente il contrario.
Prendendo una bobina e facendola percorrere da una corrente la convertiamo automaticamente in elettromagnete.
Avvicinando tale bobina a un’altra, però inerte, in modo tale che le linee di forza magnetiche della prima intersechino la seconda, nella bobina inerte si genererà una nuova corrente uguale e contraria a quella generata dalla prima bobina.
Chiariamo ora il concetto di potenza. Si può ricorrere a un esempio come il seguente: usiamo la stessa potenza in un certo tempo t fissato, sia per alzare mezzo chilo all’altezza di due metri, che per alzare un chilo all’altezza di un metro oppure due chili all’altezza di mezzo metro. Possiamo esprimerlo in termini adeguati alla materia che trattiamo usando i rapporti 10 volt e 1 ampere, 5 volt e 2 ampere, 20 volt e 0,5 ampere; in tutti questi tre casi il prodotto volt per ampere è sempre 10. La potenza * infine ha come unità il watt.
Passiamo ora a trattare degli elettroni e dell’aria. L’aria allorché è umida diventa un buon conduttore di elettricità tanto che il passaggio di scariche elettriche si manifesta con fulmini. Quando è secca rappresenta un discreto isolante e impedisce il passaggio degli elettroni salvo che essi siano in numero tale da superarne la resistenza.
In genere un mm di aria può fermare in potenziale di 1000 volt. Se gli elettroni superano tale cifra essi oltrepasseranno facilmente la sottile barriera isolante. Un vetro che abbia lo spessore di 1 mm, potrà trattenere circa 20.000 volt.
Osservando il comportamento degli elettroni sotto vuoto, constatiamo che il loro muoversi avviene con molta maggiore facilità dato che il vuoto rappresenta una resistenza molto più bassa al loro movimento.
Le valvole termoioniche vengono fabbricate con un bulbo di vetro nel quale è stato creato il vuoto per permettere un più agevole passaggio degli elettroni.
Una valvola funziona basandosi sul principio che il calore mette gli elettroni « in agitazione »; essi si metteranno perciò a ruotare vorticosamente intorno al proprio protone sino al punto in cui si staccheranno.
Una valvola, ovvero un tubo elettronico, consta di una placca, anodo, che raccoglie gli elettroni emessi da un filamento riscaldato chiamato catodo. Questo tipo di valvola viene chiamato diodo. Vi è un altro tipo di valvola chiamato triodo composto di tre elementi anodo, catodo e griglia.
La griglia ha più o meno la funzione di un rubinetto collegato a una conduttura d’acqua, cioè lascia passare più o meno elettroni.
Tale griglia ha un potenziale leggermente negativo e può provocare variazioni di correnti nella valvola anche molto forti, possibilità dalla quale nasce il concetto di amplificazione.
Aumentando per esempio la tensione della griglia di 1 volt possiamo provocare un aumento di corrente di 10 mA all’interno della valvola stessa; tale aumento l’avremmo potuto ottenere anche aumentando la, tensione anodica di 100 volt; il rapporto tra questi due valori (100 : 1) dà il coefficiente di amplificazione del triodo.
Facciamo ora qualche esempio pratico: una valvola la cui placca sia stata collegata a una tensione di 100 volt è capace di fornire, poniamo, una corrente di 10 mA. Possiamo calcolare la resistenza interna di tale valvola per mezzo della legge di Ohm. Sostituiamo nella nota formula E = RI i valori e abbiamo
100 = • 0,01 A.
Dividiamo 100 per 0,01 e otteniamo così:
10.000 :1 = 10.000 (valore di R espresso in ohm) .
Anche la resistenza di carico dovrà essere di 10.000 ohm.
Se la stessa valvola anziché 10 mA avesse fornito la corrente di 1 mA, avremmo avuto una resistenza di carico diversa dalla precedente, adeguata cioè a una valvola la cui resistenza interna è di 100.000 ohm.
Vediamo in pratica come avviene l’amplificazione, cominciando a stabilire quale tensione effettiva ci sarà, sull’anodo della valvola stessa.
Posto che la tensione fornita dall’alimentatore sia di 200 volt e la resistenza di carico di 10.000 ohm (e che la resistenza interna della valvola sia anch’essa di 10.000 ohm), la tensione reale sulla placca della valvola sarà di 100 volt. Tale placca infatti si trova circa a metà del percorso degli elettroni i quali attraversano le due resistenze uguali (interna della valvola e di carico — partendo dalla tensione zero di massa per arrivare alla tensione di 200 volt dell’alimentatore —).
Facciamo qualche piccolo conteggio. Abbiamo appurato che la corrente attraverso la valvola è di 10 mA (0,01 ampere).
Gli elettroni che passano nella valvola sono gli stessi che attraversano la resistenza di carico: anche in quest’ultima passerà 0,01 ampere.
Nella solita formula E = RI sostituiamo i valori ottenendo così:
E = 10.000 • 0,01 = 100 volt .
Questi 100 volt sono quelli che si avranno tra un capo e l’altro della resistenza. Avendo già fatto il conto per la valvola e constatato che tra catodo e placca vi sono 100 volt, dalla somma 100 + + 100 ricaviamo 200 volt ovvero la tensione dell’alimentatore.
Qualsiasi tensione della griglia comporta una variazione di corrente nella valvola. Immaginiamo che ogni volta che la tensione di griglia varia di un volt, nella valvola vi sia una variazione di 5 mA. Stabiliamo ora quale variazione di tensione di placca provochi questa variazione di 5 mA.
Se nella valvola scorre una corrente di 0,01 ampere la tensione di placca sarà di 100 volt. Se nella valvola e nella resistenza scorrono 15 mA la tensione ai capi di questa sarà:
R = 10.000 ohm I = 0,015 E = 10.000 • 0,015 = 150 volt .
Tale è la tensione che si verificherà ai capi della resistenza di carico per cui mantenendosi sempre la tensione di 200 volt all’alimentazione, la tensione sulla placca scenderà a 50 volt. Cioè, mentre prima vi erano ai capi della resistenza di carico 100 volt e altri 100volt ai capi della valvola, ora 150 saranno ai capi della resistenza di carico e 50 ai capi della valvola.
La valvola infatti è una resistenza variabile in funzione delle variazioni delle tensioni di griglia.
Vi è cioè un flusso di elettroni che si spostano, allontanandosi da un protone perché da esso respinti e avvicinantesi a un altro perché da esso attratti. Tale flusso viene chiamato corrente elettrica.
Esso avviene sempre e solo in un senso (caso della corrente continua) oppure avviene in un senso e immediatamente dopo in senso inverso (caso delle correnti alternate). Questo andirivieni di elettroni può verificarsi lungo conduttori (le strade per gli operai della fabbrica) che rendono facilissimo il passaggio, oppure lungo altri (simili ad angusti sentieri) che li obbligano a passare lentamente, in quanto essi incontrano una certa resistenza. Ogni protone trattiene intorno a sé un certo numero di elettroni il cui numero varia a seconda del tipo di atomo. Gli elettroni non stanno fermi intorno al protone, ma sono perennemente in rotazione intorno ad esso.
Immaginiamo che un protone il quale sia stato privato di alcuni suoi elettroni passi dinanzi a un protone intorno al quale ruotano numerosissimi elettroni. Capiterà che elettroni i quali descrivono un’orbita periferica e sentono perciò meno la forza di attrazione, saranno attratti dal protone « desideroso » di completare il proprio numero di elettroni.
In sostanza un protone ha intorno a sé un numero fisso di elettroni; i protoni tra di loro si respingono, cosa che fanno gli elettroni nei rapporti con altri elettroni. Quando ci sono disarmonie di tensione (cioè più elettroni da una parte che dall’altra) avvengono migrazioni di elettroni da un protone all’altro fino a che ogni protone ha il suo determinato numero di elettroni. Questo stato di equilibrio viene considerato tensione zero o massa; tali sono la terra e il mare. La differenza di elettroni si chiama tensione (simbolo E) e la sua unità di misura è il volt (simbolo V).
Il movimento degli elettroni è detto corrente elettrica (simbolo I) e la sua unità di misura è l’ampere (simbolo A).
La resistenza che gli elettroni incontrano nel muoversi ha per simbolo R e si esprime in ohm. Tra i tre simboli E, R, I, esiste la relazione: E = RI il che sta a significare che maggiore è la tensione tra un punto e un altro del conduttore più gli elettroni tenderanno a scorrere lungo questo conduttore quasi a ristabilire l’equilibrio rotto.
Le correnti variano in proporzione inversa alla resistenza che gli elettroni incontrano al loro passaggio; logicamente quando la resistenza assume un valore tale da non permettere il passaggio della corrente stessa, avremo anziché una resistenza un isolante. Anche in prossimità degli isolanti vi sono movimenti elettronici che hanno però un carattere tutto particolare. Un esempio efficace potrebbe 3ssere dato da due collegi posti uno di fronte all’altro e nei quali vi siano rispettivamente solo ragazze o solo ragazzi. È evidente che durante la giornata sia le une che gli altri si avvicenderanno alle finestre senza mai poter però comunicare. Il movimento sarà intenso in ciascuno dei due collegi e in particolar modo in vicinanza delle finestre. Un fenomeno analogo si presenta in elettronica allorché sui vari circuiti sono inseriti dei condensatori. Un condensatore è composto di due facce conduttrici divise da un isolante. Il suo nome stesso sta ad indicare che elettroni e protoni si addensano (o meglio si condensano) sulle rispettive facce creando correnti di senso diverso; causa però la divisione presentata dall’isolante, non vi è passaggio. Vi è una possibilità da parte dei protoni di ospitare degli elettroni e da parte degli elettroni di ospitare dei protoni, capacità che viene misurata dal farad (F).
Tali correnti create dal condensatore si hanno allorché vi siano variazioni di tensione. In elettronica esistono poi parole come induttanza ed impedenza. Ammettendo che voi dobbiate attraversare una folla compatta incontrerete tanto maggior resistenza quanto maggiore sarà la velocità con la quale volete passare. Un conduttore, avvolto su sé stesso a spirale, si comporta come la folla nei riguardi del passante frettoloso che simboleggia la corrente.
Pur non costituendo uno sbarramento vero e proprio, la spirale offre una certa resistenza; tale tipo di conduttore avvolto a spirale avrà nome di induttanza, mentre la resistenza (variabile) da esso fornita si chiamerà impedenza. L’induttanza viene misurata in henry. L’impedenza, come ogni resistenza, viene misurata in ohm. L’impedenza si riferisce alla resistenza a una corrente alternata ed è direttamente proporzionale alla frequenza, direttamente proporzionale cioè al numero di volte in cui si pretende di completare, in un secondo, il passaggio in un senso o nell’altro.
Resistenze in serie e in parallelo
Per terra un caos di rotaie; un trasformatore munito di reostato è inserito sulla corrente di casa e sta facendo impazzire il contatore; la madre del ragazzo fermodellista va a dare un’occhiata ogni tanto al contatore stesso preoccupata del consumo di energia, mentre le locomotive folleggiano sui binari. Il padre sbraita come un ossesso perché i motorini di « quegli aggeggi infernali » disturbano non poco la radio e oggi è assolutamente impossibile seguire la partita. Ci avviciniamo pian piano, in punta dei piedi — non disturbare per carità, — e osserviamo che cosa sta facendo il discolo di famiglia.
È li che brandisce un paio di pinze con aria corrucciata, tutto teso, a collegare due cavetti unipolari. Ma che cosa fa ora? Ha preso una lampadina, di quelle che in gergo si chiamano piselli, e la collega con un capo all’estremità del cavetto, inserito nella presa del trasformatore, e l’altro alla rotaia. I capi dell’altro cavetto li collega rispettivamente al trasformatore e di nuovo a un tratto della rotaia.
Rimane ancora da capire che cosa esattamente voglia fare, quand’ecco, miracolo, al passaggio del treno, il pisello accendersi per poi spegnersi allorché l’ultimo vagone è passato. Il giovanetto non ha fatto che applicare in serie e in parallelo rispettivamente lampadina e cavetti avvalendosi per far accendere e spegnere la lampada — ma questo non ce l’ha detto — di una semplice rotaia sezionata.
In conclusione anche se di fermodellismo proprio non ce ne intendiamo, siamo riusciti a imparare se non altro che collegando in fila una coll’altra delle lampadine o delle resistenze, si ha un collegamento in serie, mentre se le colleghiamo una per una separatamente, si ha un collegamento in parallelo. Qualunque sia però il modo con cui risultano collegate tra loro le lampadine o le resistenze e qualunque sia il loro numero, esse corrispondono sempre, nel circuito in cui sono inserite, a un unico valore di resistenza.
Se il collegamento è in serie il valore della resistenza risultante è determinato dalla somma dei valori di tutte le resistenze collegate in serie.
In ogni caso esso sarà maggiore della resistenza che ha valore più elevato. La formula da applicare risulta pertanto
Si determini ad esempio la resistenza risultante dal collegamento in serie delle seguenti cinque resistenze:
12 ohm 50 ohm 3 ohm 0,5 ohm 100 ohm
basterà, eseguire l’addizione di tutti questi valori e ne risulterà 165,5 ohm.
Mettiamo invece che si debba calcolare il valore di due resistenze in parallelo. Poiché il valore della resistenza totale è dato da:
nel caso che le due resistenze abbiano il valore di 3 e di 7 ohm, si avrà una resistenza di 2,1 ohm. Allorché le resistenze in parallelo sono più di due, si applicherà la seguente formula:
Vogliamo fare un esempio pratico? Siano da calcolare i valori risultanti dal collegamento in parallelo delle seguenti 5 resistenze: 2 ohm 10 ohm 20 ohm 4 ohm 1 ohm .
Sostituendo i valori si avrà al denominatore la somma di
La signora Elvira si reca dall’elettricista; la lampada del salotto, ricordate quella di opaline che aveva regalato lo zio Carlo per il compleanno di Ferruccio, ma sì, quella col paralume a frange, e la madre appena l’aveva vista, a esclamare: «Ma Elvira, che cosa deliziosa », e a noi, appena usciti, con un sorriso d’intesa a dire: « Ma che orrore, possibile che lo zio Carlo abbia gusti così atroci », beh, dicevamo quella lampada non fa più luce: la sua lampadina si è fulminata. Ecco quindi la zia Elvira entrare nel negozio e chiedere una lampadina. Il commesso premuroso subito accorso a chiederle: « … di che tipo, signora, a tortiglione, normale… », « ma sa, quelle bislunghe con tanti fili dentro che fanno una luce forte… », e noi fuori ad aspettare che la signora. Elvira abbia finito.
Dopo mezz’ora eccola uscire; finalmente il commesso è riuscito a soddisfare i suoi desiderata e a trovare una lampadina « bislunga » ma che faccia una luce « molto forte ». Ora, la potenza di una lampadina, che si misura in watt, è appunto l’energia elettrica che la stessa lampadina assorbe in ogni secondo per rendere incandescente il filamento.
L’energia elettrica viene trasformata parte in calore e parte in luce.
L chiaro che la maggior parte dell’energia elettrica si trasformerà in calore. Una resistenza elettrica di 120 ohm presente in un ferro da stiro, trasforma l’energia elettrica che assorbe in energia termica; se la tensione applicata è di 240 volt, si ha:
La resistenza di una radio che sia di 1 watt, dissiperà 1 watt di energia elettrica. (Il watt viene indicato con la lettera W ed è l’unità della potenza elettrica.) Per ottenere il valore della potenza in watt, si dovrà moltiplicare la tensione, che come abbiamo già visto si esprime in volt, per l’intensità di corrente espressa in ampere, mediante la formula:
Questa formula può essere utilizzata per determinare una delle tre grandezze (watt, volt, ampere) quando se ne conoscono due.
Se dovessimo ad esempio calcolare la potenza assorbita da un circuito percorso dalla corrente di 2 ampere e sottoposto a una tensione di 220 volt, operando come per le formule analoghe già viste in precedenza, si avrà una tensione di 440 watt.
Dovendo calcolare il consumo in watt di una resistenza di 150 ohm, inserita tra i morsetti di un generatore di corrente a 15 volt:
Allorché eseguiamo un collegamento in parallelo di più condensatori, il valore della capacità risultante è determinato dalla somma delle singole capacità dato da:
(esempio il condensatore variabile di una radio).
Se invece calcolassimo la capacità di più condensatori collegati tra loro in serie, la capacità risultante, al contrario di quello che ora abbiamo visto, anziché aumentare diminuirebbe.
Volendo fare un semplicissimo esempio pratico, stabiliamo di voler determinare il valore della capacità risultante di due condensatori collegati tra loro in serie rispettivamente del valore di 3 e 8 microfarad:
Collegamento in serie di più condensatori:
Così se dovessimo considerare il collegamento in serie di tre condensatori i cui valori siano rispettivamente di 2, 4, 16 microfarad avremo